Vuoi vedere
che è proprio amore?
L'incipit
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Milano, una scuola media statale,
maggio 2014 |
«Professoressa, è arrivato un altro
genitore, sa, per il colloquio…»
Piera alzò gli occhi al cielo e guardò
l’orologio: undici e dieci minuti. Dieci
minuti di ritardo e nessun appuntamento.
Sospirò.
Parlare con un altro genitore voleva dire
perdere quasi completamente l’ora buca che
di solito utilizzava per correggere i
compiti o fare qualche piccola commissione.
E, accidempolina, aveva visto quell’abitino
nella merceria di viale Brianza. L’unica
merceria ancora aperta a Milano e l’aveva
beccata lei! Dio, non era forse patetico
comprare i vestiti in merceria? Forse solo
sua nonna e le sue diaboliche amichette
novantenni lo facevano ancora. Ma l’abitino
era a buon mercato, semplice come piaceva a
lei e… color grigio topo. Possibile che si
vestisse solo di grigio? E senza nessuna
dannatissima sfumatura, per giunta!
Sorrise amaro, pensando ad altre
sfumature, anche se non era quello il
momento di piangere sulla sua castissima
vita di single. Ora doveva incontrare il
genitore ritardatario, privo di buona
creanza e di un accidente di appuntamento.
Be’, per questa volta avrebbe chiuso un
occhio, anche perché forse si trattava della
mamma di Diamante De Braud che aveva
convocato già da un paio di settimane, ma
che ancora non si era vista. Secondo
Diamante, che tutti chiamavano Didi, la
madre era in Irlanda a risposarsi da qualche
parte.
In Irlanda? A risposarsi con un
leprechaun?
Di certo un’altra frottola della ragazzina.
Ok, era ora di vedere la genitrice
inopportuna.
«Le dica che arrivo fra cinque minuti,
Flaminia» disse.
La commessa la guardò con uno strano
sorrisino sulle labbra. «Gli dica.
È un papà. E non so se mi sono
spiegata.»
Non so se mi sono spiegata.
No che non ti sei spiegata, Flaminia! Ora
anche le commesse erano diventate petulanti?
E quel sorrisetto ammiccante che diavolo
voleva dire?
Come se non avesse ricevuto nessuna
gomitata metaforica nello sterno, finse di
ributtarsi a capofitto sul compito che stava
correggendo e con un che di acido rispose:
«Gli dica, allora. Grazie».
«Il genitore mi ha anche detto di dirle che
lui ha molta fretta…»
Piera alzò lo sguardo davanti a sé e sentì
una fitta di rabbia trafiggerla. «È in
ritardo e ha pure fretta?» Ora lo sistemo
io, questo maleducato, pensò alzandosi con
troppa foga e dirigendosi verso la porta con
fare minaccioso.
«Il registro, professoressa! Non dovrebbe
portarlo con sé?» le ricordò Flaminia.
Decisamente
petulante.
Trattenendo un’imprecazione, che in ogni
caso non sarebbe stata molto più spinta di
un perdindincibacco!, Piera si
bloccò, girò su immaginari cardini e tornò
sui suoi passi. Poi, a testa alta e col
registro ben stretto in mano, passò di
fianco a Flaminia che la guardava ancora con
quello strano sorrisino.
«Vedrà, professoressa, non se ne pentirà.»
«Forse sarà lui, a pentirsene» mormorò lei
tra i denti.
Avrebbe detto il fatto suo a quel
maleducato.
Come no?
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